Ah, il calcio.
Un calcio al dolore. Molti si ostinano a definirlo un semplice sport, quando alla fine, si rivela molto di più. E non prendetela come una frase fatta. Ne volete una prova?
Al-Ittihad – Hurriya, davvero più che un semplice incontro. È un segnale, di ripartenza, di rinascita. Dopo 6 anni, si torna a giocare in una zona, in una città, dove crudeltà e distruzione sono le uniche dominatrici. E poco importa del risultato finale (2-1 per i padroni di casa), quella andata in scena nel vecchio stadio dell’Ittihad, nel quartiere di Al-Shahbaa, è una vittoria di umanità, di valori sociali e civili, prima che sportivi e calcistici. È un calcio alla paura, al terrore, al dolore.
«È un diritto giocare nella nostra città. In casa ci esprimiamo meglio, i tifosi ci spingono. E vogliamo tenere alto il nome di Aleppo».
Queste le parole della stella dell’Hurriya, Firas Al-Ahmad, che ha commentato così un romantico e commovente ritorno a casa (la sua squadra, come altre, si era rifugiata nella città di Tartus e Lattakia, sulla costa) . Parole che fanno capire come un popolo intero aspettasse in qualche modo questo momento. Sono rimasti uniti nel veder cadere i propri sogni insieme alle proprie case, ma ora hanno il diritto e la possibilità di ricostruire entrambi. E siamo sicuri che ce la faranno, con questo primo mattone posto, metaforicamente e moralmente, all’interno di uno stadio. Perché lo sport sa unire, emozionare, coinvolgere, abbattendo confini e ridicolizzando lotte e pregiudizi. Il calcio in questo caso ha saputo dare un’occasione più unica che rara. E qualcuno ancora non crede nel suo potere…