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Soldatino, epiteto di cui andò sempre orgoglioso

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Probabilmente nessuno ha mai detto e mai dirà: “Ah come gioca Di Livio”. Ma se dal 1993 al 1999 sei stato un titolarissimo sia della Juventus di Trapattoni, prima, e di quella di Lippi poi, evidentemente determinate qualità le possiedi.

GLI INIZI TRA ROMA E PADOVA:

A quindici anni Angelo Di Livio entrò a far parte delle giovanili della Roma, ma la società capitolina non lo riteneva in grado di fare il grande salto in prima squadra. Fu mandato a farsi le ossa in Serie C, prima di passare definitivamente al Padova tra i cadetti nel 1989, dove incontrò per la prima volta Alessandro Del Piero. “Lui non aveva la macchina e così spesso lo portavo al pensionato. Nelle partitelle del giovedì Alex giocava con la Primavera e i dirigenti ci dicevano di evitare entrate dure su di lui, era un patrimonio”.  delpiero-dilivio-padova-juventus-fiorentina-soldatino

Nel calcio che conta Angelo ci arrivò tardi, all’età di ventisette anni. Nel 1993, infatti, approdò alla Juventus, e lo fece per merito indiretto dello stesso Del Piero. Durante l’amichevole Padova-Juve, organizzata per permettere a Boniperti e Trapattoni di visionare più da vicino il futuro capitano e numero 10 bianconero, il direttore sportivo del Padova, Pietro Aggradi, sapendo che il Trap era alla ricerca di un’ala destra, consigliò di visionare anche Di Livio. Così, per quattro miliardi delle vecchie lire, anche Angelo si trasferì a Torino. Con la casacca bianconera vinse praticamente tutto quello che si poteva vincere: tre Scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe italiane, una Champions League, una Supercoppa europea e una Coppa Intercontinentale.

 

La sua dote principale era sicuramente la corsa; correva tanto, avanti e indietro, sacrificandosi per la squadra e adempiendo ad ogni richiesta dell’allenatore. Padrone incontrastato della fascia su cui veniva schierato, sia da ala che da terzino, sia a destra che a sinistra. Correva con le spalle strette e le braccia distese lungo i fianchi. Per questo motivo, durante un’allenamento, Roberto Baggio gli fece dono del soprannome che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua carriera: Soldatino, epiteto di cui andò sempre orgoglioso.angelo-dilivio-juventus-coppa-dei-campioni-cahmpionsleague

Poi, nell’estate del 1999, si concluse la sua avventura bianconera. “Mi auguravo un prolungamento del contratto con la Juve, ma non arrivò. Gli anni a Torino sono stati importantissimi per me. A Firenze non ci sono state contestazioni nei miei riguardi, solo un po’ di freddezza all’inizio. Poi, conoscendo il giocatore e soprattutto l’uomo, è andato tutto per il verso giusto”.

 

 

 

 

 

LA NAZIONALE:

Con la maglia Azzurra della Nazionale il Soldatino è sceso in campo quaranta volte, partecipando ai Mondiali di Francia ’98 e Giappone-Corea 2002, oltre che agli Europei del 1996 in Inghilterra.

È considerato un idolo dalla tifoseria bianconera, anche se una piccola parte di essa, dopo aver scoperto la sua fede giallorossa, ha proposto di togliere il suo nome dal cammino delle stelle lungo il perimetro dello Juventus Stadium. Qualcuno non ha digerito una sua recente frase, probabilmente storpiata da un giornalista, in cui si schierava con la Roma per la lotta Scudetto. Lui, romano di Bufalotta, si è difeso, ma neanche troppo:

Ero romanista anche quando ero alla Juventus, ma questo non mi ha impedito di dare sempre l’anima per i colori bianconeri di cui sono stato e resto orgoglioso. Poi, il tifo è un’altra cosa”.

E come dargli torto? Ogni bambino ha una squadra del cuore. E poco importa quale sarà la sua professione futura. In fondo nessuno si è mai indignato per il fatto che Galliani e Maldini fossero juventini, Moggi e Sacchi interisti, Bergomi e Cabrini milanisti.


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